Accadde 52 anni fa,
causò quasi 2 mila morti ed è una storia indimenticabile di sventatezza umana
rispetto all' inaddomesticabile cupidigia delle istituzioni (Pubbliche e Private) che innanzi alla possibilità di guadagnare non esitarono a passare sopra a migliaia di esseri umani e a devastare territori già di proprio ad elevatissimo rischio idrogeologico.
Ma non stupiamoci se l'orrenda tragedia del Vajont avvenne più di cinquant'anni fa, - partorita da un sistema politico post-II^ Guerra Mondiale - perché molte altre l'avevavno preceduta e molte altre l'hanno seguita
con cause e sciacallaggi gestionali praticamente uguali.
Né più e né meno che delle stragi annunciate e pianificate.
Il Vajont è un torrente.
Nasce in Friuli e affluisce nel Piave subito dopo il
confine regionale in Veneto, a nord di Belluno, di fronte a Longarone dove la
stretta valle tra le rocce si apre
nella più larga e urbanizzata valle del
Piave.
Qui, tra il 1957 e il 1960, fu costruita una alta diga
(la più alta al
mondo, allora):
il progetto era di ottenere energia idroelettrica da una rete di
bacini che coinvolgeva
oltre al Piave e al Vajont altri fiumi dell’area.
Durante
i lavori del Vajont, in uno di questi altri bacini, poco più a est,
nel 1959
cadde una gigantesca frana che fece traboccare il bacino
della diga di Pontesei,
uccidendo il suo sorvegliante,.. Arcangelo Tiziani,....che oggi definiremo un operaio
diversamente abile, ..visto che era zoppo).
I primi riempimenti dell’invaso furono avviati a quote successive nel 1960,
di fatto trascurando diversi allarmi sui rischi di frane,
e alcune frane reali
senza conseguenze negli stessi mesi:
«la situazione è del tutto
tranquillizzante, essendosi riscontrati soltanto degli spostamenti assolutamente
irrilevanti», recitava la richiesta di
portare il livello dell’invaso a quota 700 metri.
I successivi test di tenuta
furono condotti tra molte preoccupazioni degli abitanti dei paesi a valle della
diga e timori scientificamente esposti da parte di molti esperti.
Il 9 ottobre del 1963, alle 22.39, dal versante settentrionale del monte Toc,
a cui è appoggiato un fianco della diga,
si staccò un’enorme frana, che scivolò
rapidamente
nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont.
La massa della
frana era più grande dell’intero lago (260 milioni di metri cubi di roccia) e quando ci precipitò dentro causò due
onde gigantesche: una travolse le frazioni della valle del Vajont a est della
diga, disperdendosi nel punto dove si allarga e risparmiando per pochissimo il
paese di Erto; l’altra scavalcò la diga a ovest e si rovesciò sugli abitati
nella valle del Piave con un percorso durato quattro minuti, poi salì sul
versante opposto fino a perdere forza e rovesciarsi di nuovo all’indietro nella
valle.
Distrusse paesi e frazioni, soprattutto Longarone, spazzando dalla faccia della terra quasi duemila
persone.
"La mattina dell’incidente l’ingegner Alberico Biadene, direttore dei lavori
della SADE, la società che aveva costruito la diga del Vajont da poco passata
sotto il controllo dell’ENEL, aveva inviato una lettera al capocantiere Mario
Pancini, chiedendogli di rientrare dalle ferie. La lettera terminava con un
post-scriptum in cui diceva di essere preoccupato per quello che stava
succedendo sul versante del monte Toc:
«P.S. Mi telefona ora il geom. Rossi che le misure di questa mattina mostrano
essere ancora maggiori di quelle di ieri, raggiungendo una maggiorazione del
50%!! (cioè da 20 a 30 cm). Si nota anche qualche piccola caduta di sassi al
bordo ovest (verso la diga) della frana. Che Iddio ce la mandi
buona».
La frana che cadde quella sera aveva una massa di 260 milioni di metri
cubi. I primi detriti impiegarono circa 20 secondi a raggiungere l’acqua. Poi,
quando il grosso della frana precipitò nel lago, ci fu un rumore «come di un
milione di camion che rovesciano un milione di cassoni di ghiaia», ha raccontato
al Corriere della Sera lo scrittore Mauro Corona che all’epoca aveva 13
anni e viveva vicino alla diga.
Intorno alle 22:00, Giancarlo Rittmeyer, quella notte di guardia alla diga,chiama l’ingegnere Biadene, rappresentante della SADE.Comunica che la montagna
sta cedendo a vista d’occhio. Chiede istruzioni. Biadene cerca di calmarlo, ma
lo esorta a “dormire con un occhio solo”. Nella telefonata, si intromette la
centralinista di Longarone, chiedendo se ci sia pericolo anche per quel
centro. Biadene le risponderebbe di non preoccuparsi, e di “dormire
bene”.
La massa d’acqua cadde sulla valle dopo un salto di più di 260 metri,
lasciando integra la diga.
Aveva una tale massa e velocità che secondo alcuni
studi recenti generò un onda d’urto forte come quella provocata da una piccola
esplosione nucleare, e un vento fortissimo la precedette. Probabilmente molte
case e persone vennero spazzate via ancora prima di essere toccate dall’acqua:
quella sera in molti erano a casa e nei bar a guardare
la finale di Coppa dei
Campioni tra Glasgow Rangers e Real Madrid.
Dei 1918 morti stimati, soltanto
1500 furono recuperati e soltanto 750 erano in condizioni tali da poter essere
identificati.
Subito dopo il disastro
e dopo i primi soccorsi, la comunità scientifica, i politici e i giornalisti si divisero (come di consueto) tra quelli che ritennero la frana prevedibile e quelli che invece
dissero che era un evento sfortunato e non preventivabile.
Moltissime le bugie infami e calpestanti la base della dignità di ogni essere umano coinvolto
nella disgrazia e anche di quella di chi vi assistette
più o meno consapevolmente.
Giustizia non é mai stata fatta in realtà,.....con un processo conclusosi nel 1997
e che al di là di tediose lungaggini fuori da ogni sentimento di misericordia, rispetto e buon gusto
si é rivelato una delle consuete pagliacciate della "giustizia" italiana: