Ognuno ha una sua idea di cosa sia un periodo sabbatico.
L’importante è non confondere un
periodo sabbatico con una semplice vacanza.
Una vacanza è
limitata nel tempo, è uno spiraglio per riposarsi o ricaricare le batterie.
Un
periodo sabbatico è molto più impegnativo: spesso occorre abbandonare alcune
certezze e si ha l’impressione di tagliarsi i ponti dietro le spalle.
L'espressione “anno sabbatico” era usata presso
gli antichi ebrei
per indicare il periodo durante il quale si lasciavano
riposare le terre,
si condonavano i debiti e venivano liberati gli schiavi.
Secondo le leggi di Mosè, il terreno doveva essere lasciato a riposo
per dodici
mesi ogni sette anni.
Qui l’espressione “anno sabbatico” rappresenta un periodo
da dedicare a se stessi, magari per viaggiare.
Nei paesi anglosassoni si chiama
“gap year” ed è una tradizione consolidata.
In molti paesi all’estero i giovani
si prendono un anno di libertà
per viaggiare, prima di iscriversi all’università
o entrare nel mondo del lavoro.
Un’anno sabbatico, invece, è un’altra cosa:
è un pezzo di vita particolarmente intenso che porta con sé
molte occasioni di
incontro e di crescita e che rappresenta spesso
l’inizio di un diverso e nuovo
modo di vivere.
Un periodo tanto lungo di silenzio questo blog
non l'aveva mai conosciuto;
il post Maratona di Padova (17 aprile) é stato
pesante il giusto,...senza esagerazioni né traumatismi, ma ha recato
con sé un automatico STOP mentale
che non so bene se abbia contorni precisi o sia definitivo.
La voglia di correre c'é anche se mi sta mancando
la motivazione a pormi un obiettivo
....
é stata un' inspiegabile mix di magiche emozioni
sussurrate e condita da una buona dose di fatica fisica.
Domenica mattina
- lungo il nuovo e bellissimo percorso di gara -
si é materializzato quasi sino al minimo dettaglio
tutto quanto avevo previsto alla vigilia della gara:
discreto ritmo corsa nei primi 10 chilometri,
addirittura più scorrevole nei successivi quindici e
progressivo esaurimento delle scorte fino
allo detonante chilometro numero trentadue. Stop e fine delle trasmissioni.
Se scrivessi che sono soddisfatto delle 3 ore e 5 minuti
impiegate per coprire la regina delle distanze
sarei un pinocchio bello e buono
perché la percentuale di agonista che si agita ancora in me,
non mi consente di vedere
(completamente)
il bicchiere che in realtà
é molto di più che mezzo pieno:
ero (e sono) totalmente consapevole che la
scarna preparazione effettuata sin al 17 aprile
non poteva in alcuna maniera permettermi
di correre sui miei normali ritmi
e che per questo ben difficilmente
sarei potuto stare sotto al
celeberrimo "muro" delle 3 ore.
In realtà domenica mattina ho trascorso
quasi un'ora della mia vita ad ascoltare i bisbigli e
ad intuire i sussurri che il mio sfortunato campione
é venuto puntualmente a portarmi sulla strada
verso il Prato della Valle:
quando le gambe si sono fatte pesanti
e ho capito che avrei solo potuto
trotterellare verso l'arrivo,
ho ripensato ancora una volta ad Alberto
e alle sue inesprimibili parole.
Lui c'era (e c'é)
e grazie a ciò non ho avvertito la benché minima fatica
nell'ultima parte di corsa dove oramai avevo
ampiamente "tirato i remi in barca".
No,...non mi ha gridato "Papà, corri più forte,.."
perché aveva ben capito che in quel breve periodo di tempo
ciò che contava era lasciarsi accarezzare
e accarezzarmi a sua volta:
l'unica cosa che contava erano il profumo di pesca dei suoi capelli
e il mio cuore che batteva forte.
Mi sono girato attorno tre - quattro volte
...
ma pur non vedendolo
l'ho percepito nitidamente e questo mi ha sollevato
anche se non mi é bastato
né mi basterà mai.